Nella giornata della memoria, 27 gennaio si fa memoria dell’olocausto degli ebrei, perpetrato dai fautori del Nazionalsocialismo. Ma l’olocausto degli ebrei non è stato l’unico sterminio di cui si è macchiata l’umanità “civile” nel secolo scorso.
Ricordiamo anche i 45 milioni di cristiani, uccisi per la loro fede. E’ stato un genocidio religioso, attuato fondamentalmente dai due totalitarismi del secolo XX: il Nazismo e il Comunismo. Del tremendo olocausto ebraico, che ha causato 6 milioni di vittime, non dobbiamo mai dimenticarci, affinchè non accada mai più. Di quello cristiano, che nel secolo scorso ha causato un numero di vittime superiore di nove volte, e che oggi è ancora in atto, pochi si ricordano.
Richard Rubenstein, un rabbino ebreo, di fronte allo scandalo dei campi di concentramento, scrisse che Dio è morto ad Auschwitz: è la “teologia della morte di Dio”, divulgata negli anni ’60. Invece, i discepoli di Cristo, che ha vinto la morte ed è Signore dei risorti, approfittano delle giornate della memoria per elevare lo sguardo della loro intelligenza al disegno salvifico unico e universale di Dio, disegno che si compie nella storia e ha come sola causa Dio stesso, Amore oblativo.
Giustamente si deplora il folle piano di annientamento che i nazisti hanno attuato nei confronti del popolo ebreo, ma anche i cristiani sono state vittime del regime nazionalsocialista, soltanto nella Polonia gli ecclesiastici uccisi dai nazisti furono 6.400.
La repressione hitleriana contro i cattolici risulta essere stata particolarmente feroce soprattutto e anzitutto in quella Polonia rivendicata e poi invasa dal Reich. La Polonia dei lager, primo fra tutti quello di Auschwitz-Birkenau a Oswiecim, luogo del supremo martirio di cristiani e di ebrei a cominciare dal frate minore conventuale san Massimiliano Kolbe (1894-1941) e dalla suora carmelitana scalza santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea convertita (1891-1942).
Alla fine della Seconda guerra mondiale, le vittime cattoliche polacche mietute dai tedeschi contano 4 vescovi, 1996 sacerdoti, 113 chierici e 238 religiose. I deportati nei campi di prigionia e di sterminio sono stati in totale 3642 sacerdoti, 389 chierici, 341 conversi e 1117 suore.
A migliaia furono i cristiani annientati nella Russia Sovietica, tra il 1917 e 1925, scomparvero nel nulla 200 mila cattolici.
Come è potuto e può ancor oggi accadere che dell’esistenza di questo fiume di sangue la nostra cultura abbia così scarse memoria e consapevolezza?
Infatti l’Occidente è stato finora cieco e muto, si è rifiutato di vedere e di parlare, c’è stata una sottile ipocrisia della nostra cultura (dai massmedia all’Università, alle varie associazioni politiche).
Per il 27 gennaio la Legge 211 del 20 luglio del 2000 ha istituito in Italia, come in molti altri Paesi del mondo, il «Giorno della memoria» per trasmettere alle giovani generazioni la consapevolezza della Shoah, per rendere omaggio alle vittime e a chi si oppose al progetto di sterminio nazista, sacrificando la propria libertà e la propria vita. Come data è stato scelto il 27 gennaio perché proprio questo giorno nel 1945 venivano aperti i cancelli del campo di sterminio nazista di Auschwitz.
A pochi giorni di distanza, il 10 febbraio si celebra il «Giorno del ricordo» istituito con la Legge 92 del 30 marzo 2004, per rinnovare la memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le VITTIME DELLE FOIBE , dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Almeno diecimila persone, negli anni drammatici a cavallo del 1945, sono state torturate e uccise a Trieste e nell’Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito.
La prima giornata ha lo scopo di educare i giovani al rispetto reciproco, al rifiuto di qualsiasi manifestazione di razzismo e di antisemitismo, e ai valori fondanti di una moderna società civile.
La seconda giornata ha anche lo scopo di valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate.
Dobbiamo avere memoria dell’esempio, coraggio, amore e testimonianza autenticamente evangelica di quei cristiani che, nelle barbarie perpetrate dal Nazismo e dal Comunismo, misero a repentaglio la loro vita – e in alcuni casi la persero – per cercare di salvare le vittime innocenti della persecuzione.
Quei “giusti” che è importante ricordare, perché solo guardando alla luce di quelle perle spesso nascoste di bene possiamo stare di fronte all’abisso del male, a quella tragedia avvenuta nel cuore dell’Europa solo settant’anni fa.
S. Giovanni Paolo II “I cristiani d’Europa e del mondo, chini in preghiera sul limitare dei campi di concentramento e delle prigioni, devono essere riconoscenti per quella loro luce: era la luce di Cristo, che essi hanno fatto risplendere nelle tenebre” (Lettera apostolica per il quarto centenario dell’unione di Brest, 12 novembre 1995, N.4).
LUOGHI COMUNI SU CHIESA E NAZISMO
La simpatia della Chiesa verso il nazismo è una delle più deboli leggende nere, ma anche una tra le più diffuse e persistenti. Su questo argomento sono sorti tanti luoghi comuni divenuti spesso cavalli di battaglia per gli anticlericali che sogliono paragonare il cattolicesimo al partito nazionalsocialista. Si sostiene, per esempio, che il Vaticano avrebbe mandato al potere i nazisti, persuadendo il Partito del Centro a votare per Hitler in cambio della promessa di un Concordato, per poi abbandonare il partito una volta che questo fu stipulato. Nella realtà, la prospettiva di un concordato non ebbe alcuna parte nei negoziati tra il Centro e Hitler in vista della votazione del decreto dei pieni poteri e il partito cattolico non si sciolse per via delle pressioni vaticane (lo stesso Pacelli apprenderà dell’autoscioglimento dai giornali), ma per via delle minacce che già avevano colpito tutte le forze politiche.
Inoltre, il Concordato venne stipulato non per ricavare vantaggi, nonostante molti continuino a ripeterlo, ma per difendersi dai nazisti. La gerarchia ecclesiastica era ben consapevole della loro inaffidabilità tanto che il cardinale Faulhaber affermò: “con il Concordato siamo impiccati, senza il Concordato saremmo impiccati, torturati e squartati” (M. Burleigh, In nome di Dio Bergamo 2007 pp. 203-207).
Un’altra bufala riguarda il fatto che Hitler fosse cattolico. Se è vero, infatti, che nei discorsi pubblici ci teneva a presentarsi come il difensore della cristianità contro il bolscevismo, è pur vero che privatamente fu assai critico verso il cristianesimo che considerava una religione ebraica (come documentato nelle “Conversazioni a tavola”) e che tali affermazioni pubbliche erano contraddette dalla sua politica ecclesiastica. Infatti, durante tutto il periodo del Terzo Reich entrambe le Chiese furono perseguitate e, come rileva lo storico Sergio Romano, “se avesse vinto la guerra, Hitler avrebbe trattato le Chiese cristiane come stati sconfitti”. Gli abitanti della Germania erano per la maggior parte cristiani (formalmente), ma molti alti gerarchi nazisti (tra cui Hitler stesso) erano fieri avversari del cristianesimo come Martin Bormann, Heinrich Himmler, Alfred Rosenberg, Baldur von Schirach e si proponevano d’eliminarlo. Il moto dell’esercito tedesco “Gott mis uns” (“Dio è con noi”), era già presente fin dai tempi degli imperatori tedeschi e il regime nazista scelse di tenerlo per non accentuare i dubbi già presenti della classe degli ufficiali tedeschi verso il regime.
Non vi fu, inoltre, alcuna alleanza tra i papi e il nazismo per un fronte comune contro il comunismo, anzi durante la guerra la Santa Sede si rifiutò di benedire l’attacco tedesco alla Russia, sia per via del suo atteggiamento improntato alla neutralità, sia perché entrambe le dittature erano anticristiane come spiegò monsignor Domenico Tardini (allora segretario di Stato vaticano) in un colloquio con l’ambasciatore italiano Bernardo Attolico: «[Il comunismo] È il peggiore nemico della Chiesa. Ma non è l’unico. Il nazismo ha fatto, e sta facendo, una vera e propria guerra alla Chiesa» (A. Tornielli. Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro, Milano 2007 pp. 359-360).
Per contrastare l’idea di questa supposta alleanza basterebbe far presente la lettera circolare di Herman Goring intitolata “Decreto sul cattolicesimo politico” nella quale ordinava a tutte le autorità politiche e giudiziarie di procedere contro ogni tentativo dei cattolici d’immischiarsi negli affari dello stato o l’idea accarezzata da Hitler di far prigioniero il papa documentata da una nota del diario di Goebbels del luglio del ’43 (M. Phayer, Il papa e il diavolo, Roma 2008 p. 121).
Una “prova” che i critici del papato portano a sostegno del filonazismo di Pio XII è il presunto aiuto del Vaticano alla fuga di alcuni nazisti (spesso negando o minimizzando l’apporto dato dal papa alla fuga o al nascondiglio di ebrei e partigiani durante la guerra). È noto infatti, che il vescovo Alois Hudal aiutò a far fuggire molti gerarchi: un indizio che agisse per sua iniziativa sta nel fatto che il vescovo austriaco era malvisto negli ambienti vaticani tanto che nelle sue memorie Hudal si lamentò dell‘ostilità subita da Pio XII e da Montini e attaccò il rifiuto delle gerarchie ecclesiastiche a formare un’alleanza con la Germania per fermare il “comunismo ateo”. All’epoca poi, il papa autorizzò il gesuita americano Edmund Walsh a presentare un dossier al Tribunale dei Crimini di guerra a Norimberga in cui si documentavano i crimini e le atrocità dei nazisti (David G. Dalin, “La storia come calunnia. Daniel Goldhagen diffama la Chiesa Cattolica”).
Il fatto che Pio XII non avesse denunciato pubblicamente durante la guerra le atrocità naziste non implica in alcun modo una qualche simpatia per il regime tedesco perché il papa durante la guerra non denunciò pubblicamente neppure le atrocità di Stalin, preferendo agire di nascosto per aiutare le vittime dei totalitarismi e scegliendo di scomunicare i comunisti solo quattro anni dopo la fine del conflitto ossia quando i nazisti non potevano più sfruttare la sua condanna anticomunista a scopo di propaganda. Al contrario, l’antipatia di Achille Ratti e di Pacelli nei confronti del regime tedesco e della sua ideologia è ben nota e documentata, ma poco importa ai calunniatori della Chiesa che alla storia preferiscono la propaganda.
REPRESSIONE HITLERIANA CONTRO I CATTOLICI
Hitler, nemico giurato della Chiesa
Nel 1933, la Santa Sede firma il Concordato con la Germania nazionalsocialista. Il 14 marzo 1937, Papa Pio XI promulga l’enclica Mit Brennender Sorge: è la scomunica del “cristianesimo tedesco” e della “superiorità della razza” teorizzate dal Terzo Reich. Pochi giorni dopo, il 19 marzo, con l’enciclica Divini Redemptoris il pontefice scomunica anche il comunismo ateo regnante in Unione Sovietica.
A tal proposito Brigitte Hamann ha curato una ricerca unica nel suo genere, andando a ripercorrere la giovinezza di Hitler, a ripescare i giornali avidamente letti da Hitler all’epoca del suo “apprendistato” giovanile, e a ricordare i pensatori cui Hitler dovette molte delle idee che poi, una volta al potere, avrebbe portato avanti con fredda determinazione. Anzitutto, nota la Hamman, il padre di Hitler, Alois, è un “anticlericale”, avverso alle scuole religiose, cresciuto nel mito di Bismarck, l’autore della grandezza prussiana, ma anche di una forte persecuzione della Chiesa.
Anche il giovane Adolf viene allevato sin da piccolo agli ideali del padre, in particolare al nazionalismo pangermanista. Tra i pensatori che Hitler ha modo di apprezzare negli anni della sua formazione vi sono una serie di personalità bizzare, dedite a studi esoterici e alla politica. Il primo di questi è il viennese Guido von List, che si attribuisce il predicato nobiliare “von” perché appartenente, a suo dire, alla “razza dei dominatori ariani”.
Il von List è un personaggio barbuto, con l’aria profetica, fondatore di associazioni segrete e autore di romanzi e di scritti teorici, in cui addita soprattutto i nemici della razza ariana: “la Chiesa cattolica, gli ebrei, i massoni”. Tutti in un unico minestrone. “Il clero romano”, sostiene, mira ad “annientare e soffocare costumi e abitudini tedeschi, mentalità tedesca e diritto tedesco”.
LE CONVERSAZIONI A TAVOLA DI HITLER
“Conversazioni a tavola di Hitler”, da poco ristampato in Italia, dopo 50 anni, dalla Libreria editrice Goriziana (2010).
Si tratta dei discorsi tenuti da Hitler “all’apice del suo successo, durante il primo anno della sua guerra d’aggressione contro la Russia. Con la prospettiva di una vittoria totale, Hitler guarda fiduciosamente alla realizzazione di tutti i piani ambiziosi già adombrati sedici anni prima nel Mein Kampf” ( dall’introduzione di Hugh R. Trevor Roper).
Questi discorsi, confidenziali, con gli invitati che di volta in volta accedono a lui, vengono trascritti a partire dal 5 luglio 1941 per ordine di Martin Bormann, capo della cancelleria del partito e segretario del Fuhrer.
Bormann, per capire brevemente l’uomo, è considerato l’ “uomo ombra” di Hitler ed è un violentissimo nemico del cristianesimo, oltre che degli ebrei. “La religione cristiana, scrive, è un veleno, di cui poi è molto difficile liberarsi e che infetta i bambini”.
Spinto proprio da questa convinzione egli si occupa “con particolare tenacia di prosciugare le fonti economiche delle Chiese. Durante tutta la guerra ordinò la requisizione di patrimoni di istituzioni ecclesiastiche, pretese da loro contributi finanziari sempre maggiori” e fa tutto quello che è in suo potere, per rendere difficile la vita dei credenti e per assoggettare i religiosi che “si rifiutano di fungere da strumenti” del regime.
Anzitutto Hitler ritiene che il Cristianesimo sia una delle manifestazioni della perfidia ebraica: parla quindi esplicitamente di “cristianesimo ebraico”. “Il cristianesimo, afferma la notte del 20 febbraio 1942, costituisce il peggiore del regressi che l’umanità abbia mai potuto subire, ed è stato l’Ebreo, grazie a questa invenzione diabolica, a ricacciarla quindici secoli indietro”. Il cristianesimo infatti si è posto alla testa dei più miserabili, degli schiavi, dei malriusciti, con le sue teorie “egualitarie” nate per “conquistare un’enorme massa di gente priva di radici”.
Soprattutto è interessante che Hitler condivida coi comunisti-bolscevichi, verso cui dichiara il suo odio, e con cui si alleerà per scatenare il secondo conflitto mondiale, due idee:
La prima: che il cristianesimo sia contro la scienza e la ragione (oltre che dello Stato laico).
La seconda: che sia condannato a sparire col tempo, automaticamente, soffocato dall’affermarsi del nazismo trionfante e liberatore.
Anche Marx aveva creduto lo stesso; anche i bolscevichi spiegavano, in quegli stessi anni, che la Chiesa non avrebbe retto il confronto con la scienza, la modernità ed il progresso, e sarebbe sparita da sola, una volta instaurata la società giusta, perfetta, egualitaria, in una parola, comunista. Senza bisogno di persecuzioni (che invece, poi, ci furono eccome).
Hitler, anche qui in perfetta sintonia col pensiero marxista – che sarebbe giunto a condannare la teoria del Big Bang come evidentemente creazionista-, non crede all’idea biblica, ma si schiera per una evoluzione auto-guidata da una forza creatrice e divina immanente.
In più occasioni egli ribadisce che la visione scientifica della realtà non vede uno “iato tra il mondo organico e il mondo inorganico”, checché ne dica la Chiesa. Non vi è infatti, in una visione panteista, una vera differenza ontologica tra uomini e animali (di qui anche la sua passione per il vegetarianesimo e i suoi continui richiami al suo amore per gli animali).
Inoltre, nella visione evoluzionista di Hitler, l’uomo come individuo singolo, coerentemente, non esiste. Ciò che conta è solo la razza, la specie: “ho imparato che la vita è una lotta crudele, il cui unico fine è la conservazione della specie. L’individuo può scomparire, purché ci siano altri uomini a sostituirlo”.
Proprio in nome di questa visione arriva a giustificare le guerre in cui milioni di singoli uomini periscono, per il bene della razza ariana. Hitler giunge persino ad accenti violentemente ecologisti: “l’uomo è indubbiamente il microbo più pericoloso che si possa immaginare. Sfrutta il suolo che ha sotto i piedi”, causando le “catastrofi che si verificano periodicamente sulla faccia della terra”. Non crede dunque ad un Dio personale, che crea ed ama ogni sua singola creatura.
Rimane una domanda: come valutava Hitler l’azione della Chiesa rispetto al nazismo?
Lui, personalmente, non aveva dubbi: “Ho conquistato lo Stato a dispetto della maledizione gettata su di noi dalle due confessioni”, quella cattolica e quella protestante (13 dicembre 1941); “Un male che ci rode sono i nostri preti delle due confessioni. Attualmente non posso dar loro risposta che si meritano, ma essi non perderanno nulla ad aspettare. Ogni cosa è trascritta nel mio registro. Verrà il momento in cui regolerò i miei conti con loro e non prenderò vie traverse” (8 febbraio 1942); “Ora la principale attività dei preti consiste nel minare la politica nazionalsocialista” (7 aprile 1942); i preti oggi ci insultano e ci combattono, “si pensi per esempio alla collusione tra la Chiesa e gli assassini di Heydrich… Mi è facile immaginare che il vescovo von Galen sappia perfettamente che a guerra finita regolerò fino al centesimo i miei conti con lui…” (4 luglio 1942); “Il clero è un rettile…il vescovo Preysing è un rettile… La Chiesa cattolica non ha che un desiderio: la nostra rovina” (11 agosto 1942)…
(Fonti: Francesco Agnoli “Novecento: il secolo senza croce”- SugarCo 2011- articoli di UCCR)